Rossana Bosco
La storia dell’alimentazione di un popolo è strettamente connessa con la storia dello sviluppo economico del suo paese. Fare la storia della sua alimentazione significa infatti non solo passare in rassegna qualità e quantità dei suoi consumi alimentari, ma anche studiare la patologia della sua nutrizione. Si comprende così come siano pochi i complessi di dati che con altrettanta inequivocabile chiarezza possono documentare i mutamenti politici e sociali di una popolazione. E’ il caso, per esempio, della malnutrizione. Mentre in epoca recente hanno cominciato a diffondersi i disturbi provocati da eccessi alimentari, in passato i problemi più importanti erano causati in prevalenza dalla scarsità, acuta o cronica, di alimenti. In tal senso si chiama oggi “malnutrizione” ogni condizione che sia clinicamente manifesta o riconoscibile e che derivi dalla carenza o dall’eccesso (relativo o assoluto) di uno o più alimenti essenziali. Il fabbisogno giornaliero dei prodotti di prima necessità era uno dei principali problemi durante il periodo fascista. Il sindacalismo non può essere fine a se stesso e si esaurisce nel socialismo politico o nella corporazione fascista. Così proclamava Mussolini a favore della costituzione del Consiglio nazionale delle Corporazioni. Tali organismi erano suddivisi: 1) Corporazione della viti – viticoltura, 2) Corporazione dei cereali e via di seguito. L’oligopolio che derivava dall’accentrare il potere in questi istituti portava ad attuare in pieno l’indirizzo autartico che costringeva l’economia dell’intero paese a chiudersi e saldarsi in se stessa. Il 23 Marzo del 1936 Mussolini tracciava il piano regolatore dell’economia italiana nel prossimo tempo fascista ed indicava come finalità preminenti dell’autarchia. L’autonomia politica, indispensabile premessa della quale era l’assoluta indipendenza economica, la necessità di controllare e dirigere l’economia per i nuovi cimenti che attendevano la nazione. L’Italia continuava ad essere un Sud totale dove, nonostante alcune opere pubbliche e di bonifica, si era ben lontani dall’aver avviato un processo di sviluppo, compromesso anzi dal blocco del commercio con l’estero. A tutti questi problemi non si poteva sottrarre neanche l’Abruzzo e Chieti con la relativa provincia; la distribuzione sperequata della popolazione anormalmente alta nel settore agricolo rendeva eccessivo il peso del prodotto lordo interno. L’agricoltura nonostante gli incrementi ottenuti nella produzione cerealicola conservava una struttura arcaica e soprattutto tratteneva una parte eccessiva delle forze lavorative. Alcune contrade mancavano di strade trafficabili, di ponti, di scuole, di acqua potabile con scarsa fertilità dei terreni. Perciò gli squilibri economici aumentavano a causa della difficoltà dei collegamenti per l’esportazione dei prodotti con il conseguente ricavo zero da parte degli agricoltori. L’allevamento del bestiame era una spesa onerosa, infatti il solo costo della vaccinazione…intorno a L.7 a capo (1) poneva a carico dei proprietari anche la spesa del siero ed il compenso di …L.1 a capo (2) al veterinario.
Essendo il grano l’unica fonte di sostentamento si istituivano gli ammassi granari per controllare la vendita del prodotto che spesso veniva svenduto. Infatti, i contadini sostavano molte spese: pagamento delle tessere per lavorare, costo dei concimi, degli antiparassitari, delle sementi, dei mangimi, degli attrezzi agricoli con i relativi ricambi. Con questi centri si stabiliva un magazzeno in cui si invitassero gli agricoltori a depositare il grano.. infatti per ogni quintale dovrà essere anticipata una certa somma corrispondente al 65 – 75% del prezzo di mercato…. (3). Le diverse relazioni sui paesi della provincia chietina quantificavano i vari ettari di terreno colti vati ad estensione con i relativi quintali di consumo medio del grano pro – capite. In un paese come Montazzoli, per esempio, la popola zione di “200 Abitanti “ (4) produceva “Uva Q.LI 1500 – 2000, Olive Q.LI 700 – 1000, Grano Q.LI 1800 – 2000, Grantuco 600 – 800” (5), mentre per il bestiame questi erano i dati “Bovini 20, Ovini 250, Equini 30, Suini 40″(6). Attraverso queste cifre era facile stabilire cosa mangiava la popolazione e quale costo avevano i generi alimentari. I prezzi variavano di paese in paese, ad Atessa nel 1934 il pane costava L.125, il riso L.1,15, Carne d’agnello 1.5,50, vitello L.8, L.6, L.4 ossia polpa, costate e lesso… (7). A Tufillo due anni prima il pane “L.1,60” (8) mentre a Vasto si vendeva “a L. 1,30” (9). Una dei capi saldi della politica agraria del regime era la rivalutazione e la propaganda del mondo rurale riportando vecchie e desuete tradizioni all’antica vitalità. Soprattutto con le sagre dei prodotti agricoli di cui resta traccia ancora oggi, si voleva cercare di smaltire quote di prodotto che altrimenti sarebbero andate distrutte con grave danno dei produttori. Nelle provincie chietine la celebre Festa dell’Uva estesa a tutte le zone produttrici, rientrava in questa categoria. Queste manifestazioni finivano con il rappresentare per i centri abruzzesi in cui si svolgevano, preziose occasioni di promo zione economica e turistica; la stessa Opera Nazionale Dopolavoro si incaricava di favorire l’afflusso del maggior numero di persone se la festa era particolarmente significativa. La campagna a favore della coltivazione e consumazione del riso rientrava nell’ambito della promozione dei prodotti locali. Molteplici erano i piatti che si cucinavano con tale alimento che con il tempo prendeva il posto della pasta che veniva venduta non sempre asciutta. L’Onorevole Amedeo Belloni girando nelle varie province abruzzesi con le autocucine dell’Ente Risi propagandava il consumo del bianco cereale.
La compressione salariale, monetariamente tangibile, diventava meno grave per le famiglie indigenti grazie alle varie forme di assistenza mutua e dell’Ente Opera Assistenziale. Nelle liste di questo organismo le voci che presentavano una maggiore richiesta erano: il pane, la farina, il granoturco, il latte. Tale aumento pro capite per abitante dei cibi poveri come i cereali, faceva diminuire quello degli alimenti più ricchi, come la carne, la frutta, gli agrumi, lo zucchero ed il caffè. Questa situazione di notevole carenza di cibi primari continuerà anche dopo la seconda guerra mondiale lasciando la popolazione soltanto con la volontà di sopravvivenza. Le vittorie dell’Asse si accompagnarono a penuria di rifornimenti e questa situazione portò a un rigido tesseramento dei generi alimentari: pane in quantità limitata fatto con una miscela sempre più sospetta, pochissima carne sostituita da certi pesci indigesti dal sapore marcato, formaggio fuso dalla dubbia origine casearia, surrogati del caffè e del tè ed altro ancora. L’economia autarchica, basata sulla riduzione al minimo dell’importazioni dall’estero, aveva abituato la popolazione alle suole di sughero delle calzature femminili come al Karkade (10) un sostituto del tè che si diceva venisse dall’Impero. La povertà del regime alimentare imposto dal razionamento agli Italiani poteva consentire fruttosi confronti con l’egoistico benessere del popolo di cinque pasti (11): pochi italiani a quel tempo sapevano che a parte quanto si poteva dire sulla scarsità cronica e antica del regime alimentare dei nostri ceti contadini – il pasto di mezzogiorno della borghesia italiana equivaleva a … due o tre pasti di altre nazioni più ricche in quel particolare momento. A tutto questo malessere si aggiungeva che la retribuzione media giornaliera secondo i dati ufficiali dell’Istituto Italiano di Statistica era di lire 30,40 nel 1943 3 49,77 nel 1944. Ma nel 1943 ci volevano poco più di 20 lire per acquistare un chilogrammo di carne bovina e nel 1944 161 lire, e ancora nel 1943 ci volevano 35 lire per acquistare un chilo di pasta e l’anno dopo 23 lire. (12) Coloro che stavano meglio erano sotto questo aspetto i contadini che abitavano nelle zone interne: a Chieti e Provincia quelli delle aree più ricche vendevano fino a un certo punto i loro prodotti ai corrieri del mercato più clandestino (detto “borsa nera”) e a semplici cittadini che si recavano da loro a raccogliere farina, burro, zucchero, formaggio per la famiglia. Con il passare del tempo quando non potevano comperare i cittadini sfollati in campagna si adattavano allevando: polli e conigli, raccogliendo castagne, insalata matta e legna nei boschi. Questa lotta alla sopravvivenza creava l’illusione per la realizzazione di una futura industrializzazione con il relativo benessere sociale.
Note
1) A.S.Ch. P.N.F. b.s.n. f.s.n. Il Podestà di Monteferrante al Segretario Federale di Chieti del 23 marzo 1935.
2) A.S.Ch. P.N.F. b.s.n. – f.s.n. Pro-memoria degli Agricoltori di Chieti del 15 febbraio 1936.
3) ibidem.
4) A.S.C.P.N.F. Il Segretario del Fascio di Atessa al di Chieti del 10 maggio 1935.
5) ibidem
6) ibidem
7) ibidem
8) A.S.Ch. P.N.F. b.s.n.-f.s.n. // Segretario del Fascio di Tufillo al Segretario Federale di Chieti del 2 luglio 1936.
9) A.S.Ch. P.N.F. b.s.n. – f.s.n. Il Segretario del Fascio di Vasto al Segretario
Federale di Chieti del 20 settembre 1936. 10) TRANFAGLIA N., Dallo Stato Liberale al Regime Fascista, Milano,
1973
11) LA FRANCESCA S.. La politica economica del Fascismo, ed. Laterza. Bari 1973.
12) Ibidem
Segretario Federale